Paesaggio come stato d'animo

Ogni mostra di Pietro Tracca è un appuntamento con l’arte, non solo un incontro con il pubblico. Egli infatti si preoccupa di sottoporre a verifica i risultati via via raggiunti invocando il giudizio di chi è in grado di cogliere, oltre al fascino delle sue opere, i progressi compiuti nella difficile tecnica dell’acquarello.

E si è rivolto a me, che ho presentato, tre anni fa, la sua precedente mostra, per conoscere il mio punto di vista sull’evoluzione intervenuta nella sua appassionata ricerca. Penso sia l’esercizio manuale, coltivato con spirito critico, a far compiere passi in avanti all’artista sul piano espressivo, mentre sono le capacità inventive a qualificarne l’azione creativa.

Diciamo che è l’ispirazione – parola caduta in disuso ma che dà l’idea della condizione privilegiata dell’artista – a promuovere il coinvolgimento emotivo di Tracca. Egli si lascia prendere dai soggetti ai quali dà forma artistica, soprattutto dai fiori, che in modo particolare ama, e ordina in ariose composizioni. Da esse ci giunge il sentimento del suo entusiasmo, il trasporto che lo induce a dipingere nature solo in apparenza morte, tanto l’artificio è vinto da una linfa viva che vibra nella macchia colorata intrisa di luce. Eppure un sottile equilibrio governa le sue composizioni, che la trasfigurazione dell’immagine non compromette, quasi l’afflato che le permea sia regolato da una sapiente regìa che distilla la giusta misura. Sono le gradazioni del colore a dar forma all’impalpabile leggerezza dei fiori, specie se evanescenti e sfatti; sono le modulazioni della luce a costituire l’elemento nuovo – e qualificante- delle vedute di città e dei paesaggi di campagna.

La scenografia urbana, ripresa con moduli non scontati, è originale nell’ambientazione atmosferica, nelle luci-ombre che conferiscono una suggestione insolita ai siti.I quali, luoghi illustri del centro storico di Vicenza – Basilica Palladiana, Piazza dei Signori, delle Biade, delle Erbe, Piazza Castello con palazzo Porto-Breganze, Retrone dal Ponte Furo, Parco Querini con l’Aracoeli – o località anonimie delle colline beriche, sono circonfusi di una luce, svaporata e umbratile, che produce effetti stranianti. Per questo la veduta diviene visione. La bianca mole dell’Aracoeli, stagliata in un cielo grigio, drappeggiato di rami stecchiti, è visione fantasmatica, inconsueta per un sito preferito per le sue radiose aure. Anche le immagini dei tetti innevati nascono da impressioni filtrate da particolari stati d’animo. Incantevoli sono i paesaggi campestri percorsi da bagliori improvvisi generati da forti emozioni. Nessuna concessione viene fatta a languidi sentimentalismi. Le raffigurazioni, rese con i puri mezzi della pittura, hanno la spumeggiante freschezza che non si trova nelle lucide prove di chi usa l’acquarello per attenuare le rigidità del disegno accademico.

I teorici del paesaggio, fin dai primi decenni dell’Ottocento, hanno dichiarato che il sentimento deve assumere priorità nella rappresentazione della natura; e la relazione diretta stabilita tra il pittore e la natura durante le sedute di lavoro en plein air è al centro di queste emozioni. Resta valida l’idea che alla rappresentazione realistica dei luoghi del dipingere non sia estraneo il sentimento della natura, l’espressione e i sentimenti personali. Si rinnova, credo, anche per Tracca, il dilemma, in cui gli artisti del paesaggio sempre si sono dibattuti, “tra una certa volontà di stile e le esigenze di una sensibilità più fine” (M.M. Aubrun).

Giuliano Menato